Opportunità nascoste

Questo articolo è pubblicato su gentile concessione della rivista "Costruire HiFi". L'articolo è apparso nel mese di dicembre 2016.

Sono sempre un po’ stupito quando scopro quali nomi vengono scelti o confezionati dalle aziende leader del mercato audio per descrivere sistemi che vanno oltre la riproduzione audio per ricostruire la scena acustica intorno all’ascoltatore. Se provate a esplorare Internet trovate nomi altisonanti e stravaganti come “Astoundsound” o fuorvianti come “audio 4D” o “cinema 5D”. Eppure in ambito scientifico c’è un termine molto semplice per descrivere questo trend di ricerca: audio spaziale.

E’ semplice, accattivante e preciso. In effetti anche l’aggettivo “spaziale” potrebbe sembrare altisonante, ma in realtà non lo è. Infatti, non va inteso nella sua accezione colloquiale di “superlativo” ma si riferisce al fatto che viene ricostruito l’intero campo acustico (funzione sia del tempo che dello spazio), mentre l’audio tradizionale si concentra su un certo numero di segnali, ciascuno rappresentato da una funzione del tempo.  Per darvi un’idea ancorché approssimativa della differenza fra audio spaziale e audio multicanale, pensate all’equivalente visivo: il primo corrisponde a un’olografia, mentre il secondo corrisponde a controllare l’accensione e l’intensità di un piccolo numero di lampadine. Nel primo caso costruite un’immagine tridimensionale accurata, nel secondo caso non potete fare molto di più che riconoscere da quale direzione arriva la luce. 

Come vi dicevo il mese scorso, nonostante l’evidente difficoltà di rendere possibili e praticabili tecniche di riproduzione audio spaziale, la spinta del mercato è fortissima, recentemente aggravata dal fatto che i sistemi di Virtual Reality e Augmented Reality cominciano ad essere disponibili sul mercato consumer a costi ragionevoli. Possiamo però essere finalmente ottimisti per una duplice ragione: da una parte la ricerca ha fatto davvero dei passi da gigante nello sviluppo di algoritmi efficienti che facciano da “engine” per la generazione e il controllo di questi campi acustici; dall’altra, la tecnologia comincia a produrre tecnologie promettenti e impressionanti, che potrebbero davvero cambiare la nostra esperienza di ascolto nel prossimo futuro.

Vorrei quindi provare a fare un esercizio mentale assieme a voi, per capire come le tecnologie audio emergenti del momento, anche se concepite per risolvere un problema pratico diverso, potrebbero andare oltre la soluzione di quel problema per diventare veicolo di nuove tecnologie di audio spaziale. Mi vengono in mente diversi casi eclatanti: soundbar multicanale che potrebbero diventare proiettori plenacustici, diffusori con più altoparlanti che potrebbero trasformarsi in altoparlanti “di ordine superiore”, altoparlanti digitali MEMS (Micro-Electro-Mechanical Systems) che potrebbero diventare “proiettori soundfield”, ecc.  Sono tutte opportunità nascoste, che a volte le aziende del settore non si accorgono di avere per le mani, e con un po’ di ricerca mirata potrebbero trasformarsi in soluzioni tecnologiche capaci di rivoluzionare il mercato audio. Oggi parliamo di proiezione acustica e di come questa potrebbe cambiare l’universo dell’audio spaziale. 

Diffusori e proiettori

E’ passato quasi un secolo da quando da quando la BBC fece la prima trasmissione radio stereofonica della storia, subito dopo anche il cinema sperimentò questa nuova modalità di diffusione acustica con “Fantasia” il primo film in stereo della storia del cinema. Per l’occasione venne organizzata una celebre registrazione dell’orchestra di Filadelfia, diretta da Stokowski, basata su un sistema multitraccia un po’ raffazzonato composto da 4 registratori separati (di seguito pazientemente sincronizzati a mano). Questa tecnologia fu chiamata “Fantasound” (tanto per non perdere il gusto dei nomi eccentrici), e fu presentata in alcuni cinema selezionati e attrezzati per l’occasione. Seguì una crescente diffusione di sistemi multicanale, dapprima sperimentali al cinema e nei parchi tematici, e infine in versione commerciale anche a casa. Eppure, il principio di emissione acustica era rimasto praticamente lo stesso: gli altoparlanti continuavano ad essere pensati come “diffusori” (nome che usiamo ancora oggi), ovvero punti di emissione acustica omnidirezionale. Questa visione cambiò improvvisamente verso la fine degli anni ‘90, quando comparsero sul mercato i primi “proiettori acustici”, schiere compatte di altoparlanti di piccole dimensioni in grado di generare fasci acustici direzionali e indipendenti attraverso tecniche di “beamforming” o “beamshaping”. L’intento era ridurre l’invasività dei sistemi multicanali realizzando delle “soundbar” capaci di proiettare il suono in direzioni ben precise (verso i muri circostanti), in modo tale che i fasci acustici riflessi giungano all’ascoltatore lateralmente o addirittura da dietro, come in un normale sistema surround. 

La prima azienda a produrre un proiettore acustico commerciale capace di rendere superflui i diffusori posteriori e laterali fu la Altec Lansing, che nel 1998 proposte una soundbar multicanale (ADA106), da abbinare a un subwoofer. Qualche anno dopo, nel 2002, l’americana Pioneer decise di mettere sul mercato un proiettore acustico (PDSP-1) capace di un’improbabile potenza di 500W (senza bisogno di subwoofer), e dal costo altrettanto improbabile di qualche decina di migliaia di euro. Questo proiettore si presentava come un pannello rettangolare di 256 altoparlantini ad elevata efficienza, controllati da algoritmi di beamforming. Più economica e ragionevole era la soluzione proposta da Yamaha (YSP-1), tant’è che vinse il premio “Best of Show” nel 2005 al Consumer Electronics Show. La geometria tornava ad essere quella di una soundbar, ma con una quarantina di altoparlantini disposti su tre file orizzontali sovrapposte e sfalsate. Il sistema, oltretutto, era autoconfigurante (grazie a una fase di setup iniziale basata su una misura con microfono) e aveva un costo comparabile a quello di un sistema multicanale economico. 

Nello sviluppare questi proiettori acustici, aziende come Altec Lansing e Yamaha, così come le altre che hanno seguito, erano motivate da esigenze meramente pratiche (realizzare un sistema surround con un’unica unità di emissione del suono) e di design (i televisori sempre più sottili non avevano più lo spazio per altoparlanti di qualità). Eppure l’introduzione dei proiettori acustici rappresenta una vera e propria occasione di rottura rispetto al passato, e addirittura per una duplice ragione. Per la prima volta, infatti, veniva abbandonato il concetto di diffusione omnidirezionale da più punti per abbracciare il concetto di proiezione controllata di pattern acustici. Inoltre, per la prima volta, l’ambiente non era più visto come un nemico da cui difendersi, ma come un insieme di specchi acustici sfruttabili come riflettori passivi per emulare una distribuzione spaziale di casse acustiche (sorgenti “immagine”).

L'opportunità

In realtà l’idea di passare dalla diffusione acustica alla proiezione acustica ha un potenziale inespresso enorme, e può avere implicazioni tecnologiche che vanno molto al di là di mere esigenze pratiche e di design. Una schiera estesa di casse acustiche, infatti, può essere suddivisa in tante mini-schiere compatte di altoparlanti, ciascuna delle quali operante come un proiettore acustico a bassa risoluzione. Una soundbar, quindi, potrebbe trasformarsi in una “schiera di proiettori acustici” (da noi battezzata “proiettore plenacustico”), capace di proiettare una rete distribuita di fasci acustici che si intrecciano in un’ampia zona di ascolto. Usando simultaneamente più soundbar (ad esempio 4) in posizioni opportunamente scelte, questa rete di fasci acustici si potrebbe infittire al punto da approssimare qualsiasi campo acustico. 

Ai laboratori audio dell’Image and Sound Processing Group del Politecnico di Milano, nell’ambito del progetto SPIN (Space-time Processing for INteractive acoustics), abbiamo recentemente dimostrato che è sempre possibile ricostruire accuratamente un campo acustico attraverso un intreccio di proiezioni acustiche elementari. L’abbiamo fatto prima matematicamente, e poi anche praticamente, realizzando i primi prototipi di proiettori plenacustici, con l’aiuto del sapere costruttivo di aziende come B&C Speakers. Abbiamo anche dimostrato che il costo computazionale (ovvero la potenza di calcolo necessaria per generare questo intreccio di fasci acustici) di sistemi di questo tipo è abbastanza contenuto e un moderno processore dedicato (DSP) potrebbe farsene carico senza difficoltà. 

C’è quindi la possibilità di creare sistemi flessibili, capaci di adattarsi alle varie esigenze e interessi degli ascoltatori. Con una singola soundbar è possibile creare sistemi che vanno oltre l’attuale “virtual surround” e possono riprodurre accuratamente una scena acustica frontale, aggiungendo anche elementi surround e laterali sfruttando i riflettori acustici presenti nell’ambiente. Piazzando più soundbar intorno alla zona di ascolto (più o meno come si fa oggi con un sistema surround), sarebbe possibile creare una zona di ascolto in audio immersivo e spaziale, adatto a applicazioni di gaming immersivo, magari usando tecniche di visualizzazione VR o AR. Non male vero?

Augusto Sarti

Professore di Sound and Music Computing 

Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria

Politecnico di Milano